CIPA Roma

FAQ - Domande frequenti

FAQ - Domande frequenti

TRATTAMENTI PMA

Le tecniche PMA non aumentano la capacità riproduttiva della coppia ma sono volte a superare gli eventuali ostacoli al concepimento presenti, pertanto le probabilità di ottenere una gravidanza a seguito di un trattamento di PMA di II livello con trasferimento di un singolo embrione, sono sovrapponibili alle probabilità naturali che la coppia avrebbe di poter concepire spontaneamente. In natura, infatti, una coppia giovane e fertile non ha più del 25% di probabilità di concepire dopo un mese di rapporti liberi. In realtà il trasferimento di più embrioni o di un embrione di “buona qualità” permette alle donne più giovani di raggiungere circa il 40% di probabilità di ottenere una gravidanza per singolo tentativo e il 60% con 3 – 4 trasferimenti embrionali successivi.
La capacità riproduttiva della donna è strettamente dispendente dalla sua età, in quanto la riserva ovarica ossia il numero di ovociti presenti nelle ovaie di una donna, diminuisce gradualmente con l’avanzare dell’età e di pari passo peggiora anche la qualità degli ovociti stessi.
Nella fecondazione di tipo omologo si utilizzano gameti appartenenti alla coppia. Nella fecondazione eterologa si utilizzano spermatozoi o ovociti, oppure entrambi, donati da soggetti diversi rispetto ai partner della coppia.
Si. Nel 2014 è stata reintrodotta questa procedura dopo che nel 2004 era stata vietata. Adesso, quindi, è possibile eseguire programmi PMA con gameti donati anche in Italia, purché la donazione venga effettuata a coppie di sesso diverso conviventi.
Lo screening delle malattie infettive in epoca preconcezionale e prima di intraprendere un trattamento PMA è fondamentale in quanto esse possono essere trasmesse al nascituro. Tali malattie possono pregiudicare l’esito della gravidanza ed interferire con lo sviluppo fetale in maniera più o meno grave. Bisogna ricordare che le malattie infettive presentano un periodo di tempo variabile, a seconda della patologia, in cui pur essendo già avvenuto il contagio, la malattia non è evidenziabile con i test ematici. Per questo motivo, è necessario ripetere gli esami dopo un certo intervallo di tempo, se si vuole essere certi dell’assenza di una patologia infettiva in un determinato momento.
In alcuni casi per ottimizzare la stimolazione ovarica può essere utile assumere, durante il ciclo mestruale precedente la pillola contraccettiva, che permette una migliore soppressione della produzione ormonale endogena (spontanea della donna) ed una maggiore sincronizzazione della crescita follicolare con l’inizio del trattamento PMA.
La stimolazione ormonale farmacologica che si esegue durante un trattamento PMA, viene condotta con l’ausilio di un attento monitoraggio ecografico ed ormonale, e pertanto non comporta generalmente importanti rischi o effetti collaterali durante la sua esecuzione o nel periodo immediatamente successivo. E’ possibile che si verifichino una lieve ritenzione idrica ed una sensazione di gonfiore temporanei, che sono direttamente proporzionali alla riposta ovarica conseguente la stimolazione eseguita. Il rischio più rilevante della stimolazione ovarica, fortunatamente estremamente raro nei Centri PMA di buona qualità ed in particolare nel nostro Centro CIPA (nessun caso verificatosi dal 2000 ad oggi), è rappresentato dalla sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS), condizione nella quale le ovaie aumentano molto di volume e si crea una produzione di liquido all’interno dell’addome (ascite). Tale sindrome interessa più frequentemente le donne più giovani e /o dotate di una buona riserva ovarica.
I dati della letteratura scientifica non evidenziano un aumento di rischio di comparsa di patologie tumorali nelle donne sottoposte a cicli di stimolazione ormonale eseguite durante trattamenti per la cura dell’infertilità. E’ necessario comunque non sottovalutare l’importanza dello screening per la prevenzione delle patologie tumorali ed infatti prima di sottoporsi ad un trattamento PMA la donna deve eseguire i periodici controlli di screening quali l’ecografia mammaria, la mammografia ed il pap test per escludere patologie in atto o sospette.
Oltre a seguire la terapia medica prescritta, non sono previsti particolari accorgimenti da adottare nei giorni successivi al transfer embrionario, e la paziente può tranquillamente riprendere le sue normali attività quotidiane. L’équipe CIPA condivide con la paziente, personalizzando caso per caso, una condotta di vita che le faccia evitare sforzi fisici intensi e ulteriori fonti di stress.
Dopo circa 12-14 giorni, a seconda del tipo di procedura e dello stadio di sviluppo embrionario al momento del embryo-transfer, è possibile constatare l’inizio di una gravidanza, mediante il dosaggio ematico della gonadotropina corionica umana – BetaHCG.
Dopo circa 12-14 giorni, a seconda del tipo di procedura e dello stadio di sviluppo embrionario al momento del embryo-transfer, è possibile constatare l’inizio di una gravidanza, mediante il dosaggio ematico della gonadotropina corionica umana – BetaHCG.

LABORATORIO PMA

Il numero è definito sulla base di diverse variabili, quali l’età della donna, la qualità morfologica degli embrioni ed il numero di transfer precedenti con esito negativo con l’obiettivo primario di ottenere una gravidanza e la nascita di un bambino, evitando possibilmente gravidanze gemellari.
Gli embrioni vengono osservati e classificati secondo criteri morfologici. Un embrione di buona qualità è un embrione che si sviluppa dividendosi seguendo tempi standard e le cui cellule non sono frammentate. E’ da tenere presente tuttavia che il criterio morfologico è un criterio solo orientativo e non tutti gli embrioni che appaiono di buona qualità, si impianteranno e daranno inizio ad una gravidanza ed allo stesso tempo, non tutti quelli che si discostano da questa definizione ottimale, sono destinati sicuramente a non dare inizio ad una gravidanza.
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